Il santuario e il suo territorio
Il santuario è il luogo dove è più evidente la presenza di Dio e dei suoi santi. È, nello stesso tempo, il luogo dove Dio parla attraverso la concretezza di un linguaggio fatto di parole e simboli che nascono e hanno senso all’interno del registro comunicativo proprio del territorio. La Parola di Dio, il Verbo di Dio fatto uomo s’incarna in un luogo di cui assume cultura e linguaggio liberandoli, tuttavia, dalle pastoie localistiche proprie del gruppo chiuso e della tribù.Ogni santuario, in questo senso, è una sorta di ritratto identificativo dell’ambiente umano e fisico entro cui è nato ed opera.. I santuari garganici antichi sono legati fra loro dal richiamo religioso della montagna. L’imponenza del Promontorio, il profondo radicamento nelle viscere della terra, il vigoroso slancio verso l’alto, il resistere agli eventi e alle tempeste, sono intesi nel complesso sistema della comunicazione religiosa come le caratteristiche della casa di Dio, il luogo saldo a cui la fragilità dell’uomo si aggrappa, “chi è rupe se non il nostro Dio?” (salmo 17)-Fig1. La stessa montagna, però, è l’emblema della dinamicità creativa di Dio e della vita che continuamente si rinnova, espressa dalle mille vestigia della millenaria storia del Gargano (Fig2), dal fluire dei ruscelli, dal vento, nello stormir delle fronde e nei prati fioriti (Fig3, Fig4)
Le grotte e i dirupi del Gargano, poi, hanno arricchito il suo linguaggio religioso col richiamo al seno protettivo della Terra, nostra Madre, e dei luoghi impervi della contemplazione e della preghiera.
D’altra parte dalla più remota antichità il Gargano esprime un forte richiamo alle altezze com’è testimoniato dalla storia dei santi eremiti e contemplativi che l’hanno abitato fino ai giorni nostri. È la terra più adatta in questa nostra Italia in cui l’uomo può immergersi nel mistero di Dio, porre vita e fiducia nelle mani dell’Altissimo plasticamente rappresentato dal potente slancio verticale dei dirupi e delle cime: “Si, mio rifugio sei tu, o Signore!”. Tu hai fatto dell’Altissimo la tua dimora; non ti potrà colpire la sventura, nessun colpo cadrà sulla tua tenda. (Ps. 91, 9-10).
Il rapporto di S. Matteo con l’ambiente naturale è nativo, derivando dalla configurazione orografica, dai boschi, dall’immediatezza dirompente dei fenomeni atmosferici, dal succedersi delle stagioni.
Passa anche attraverso le specificità storiche e spirituali, anch’esse in gran parte legate alle evoluzioni ambientali: posto sulla strada, è inserito in una natura primigenia, dotata di emergenze naturalistiche importanti. La sua storia, infine, è intimamente connessa col mondo contadino e pastorale. (Fig6)
Immerso in un’ampia scenografia boscosa, il santuario alla luce del tramonto si delinea nella sua singolarità calda e luminosa sul variegato manto verde dei boschi(Fig5). Da questo suo rapporto privilegiato il santuario si è arricchito nel tempo come luogo dove l’uomo vive in pace con la natura in uno scambio di beni generoso e rispettoso. Con la motorizzazione di massa il santuario è diventato un importante anello tra il mondo urbano e l’ambiente naturale.
È infatti facilmente raggiungibile da tutte le maggiori città della Capitanata, tutte ricadenti in un area posta a 30 Km dal santuario (Fig7).
Da queste città salgono gruppi, famiglie,scolaresche che, insieme a quello religioso, sentono forte l’interesse per la natura. Il Santuario per gli abitanti di queste città è un punto centrale dove ritrovarsi per le celebrazioni domenicali e, insieme, per le escursioni naturalistiche, soprattutto in primavera. Ogni stagione, tuttavia, offre le sue particolarità e i suoi colori. (Fig8; Fig9)
Con l’ambiente naturale, poi, i Frati Francescani di S. Matteo hanno proseguito l’opera di tutela e valorizzazione iniziata dai benedettini e, lungo la storia hanno maturato un grande patrimonio di conoscenza e di esperienza. Qui infatti ha vissuto, studiato e operato Padre Michelangelo Manicone che ai problemi della conoscenza e della gestione del territorio garganico ha dedicato tutta la vita. I Frati di S. Matteo hanno seguito le orme del Padre Manicone con un’opera attenta di salvaguardia e di trasmissione alle generazioni giovani. Il boschetto dei Frati, di cui si parla in queste note, fino al 1980 era l’unica macchia verde superstite delle cesinazioni e dei tagli operati nei sec. XIX e XX. Inoltre, ben prima che fosse istituito il Parco Nazionale del Gargano, i Frati di S. Matteo operavano nelle scuole e nei gruppi giovanili per diffondere la conoscenza delle specificità ambientali e dei problemi relativi.
Oggi questo ruolo proveniente dalla storia del Santuario si svolge in un ambiente culturale fortemente degradato da una mentalità assolutamente irrispettosa. È necessario, quindi, affrontare le situazioni con decisione e senso di responsabilità. In tal senso sono state realizzate alcune importanti iniziative come il convegno sulle terre collettive in simbiosi col Parco Nazionale del Gargano, e la mostra sull’ulivo effettuata insieme ad associazioni ambientaliste.
Mario Villani
I colori della luce
Il Gargano dalla più remota antichità è conosciuto come inesauribile scrigno di essenze botaniche. Proteso ben dentro l’Adriatico, esposto a venti di terra e di mare, rifugio sicuro di uomini e bestie, è stato sempre meta accogliente di pastori e pellegrini e, con essi, di semi, rami e radici che da lontane foreste approdano portati dal turbolento agitarsi dell’aria e dell’acqua. La sua lunga storia di vecchio sasso scagliato nel mare, giunta fino a noi carica di ricordi belli e drammatici, di suggestioni e di desideri, esprime in primavera la sua mai sazia ricchezza con l’ubriacante caleidoscopio di forme e colori.
Giuseppe Bonfitto, autore delle foto, non ha voluto fare un documentario bensì descrivere il Gargano conosciuto, amato e sognato, attraverso gli occhi stessi della luce che tutto avvolge e penetra; la luce che unifica e nello stesso tempo distingue le forme, penetra nei precordi della realtà esaltandone i segreti e costringendo l’intelligenza a superare la velleità, tutta umana, di schedare, analizzare, alambiccare e aprendola alla pura contemplazione. Giuseppe mostra le gemme del Gargano come segno visibile della Bellezza Assoluta e Antica che trae da se stessa la ragion d’essere.
Le foto sono frutto di artigianato di vecchio stampo: macchina analogica, diapositive, tempi lunghi in paziente attesa di luce e tempi giusti in campo aperto. Sono state digitalizzate da Michele Colletta.
Le foto sono divise in due sequenze. La prima è un pallido assaggio di ciò che il Gargano è capace di esprimere. La seconda è dedicata alle orchidee spontanee presenti nel territorio garganico con oltre cento specie.
L’Autore ha gratuitamente messo a disposizione le sue foto come omaggio a questo territorio aspro e odoroso, tutto da scoprire.
P.Mario Villani
L’ambiente antropico
La vita e il lavoro
I dintorni del Santuario rappresentano una sintesi della storia del Gargano meridionale nei suoi due aspetti principali: la storia naturale e quella della frequentazione umana. Le due storie da qualche milione di anni s’intrecciano, s’incontrano e scontrano, si identificano e nello stesso tempo si distinguono, s’influenzano reciprocamente e spesso sono nemiche. La natura arida e sassosa, s’impone col suo carattere più indipendente e selvaggio; dappertutto domina incontrastata la pietra. Battute dalle tempeste, le pietraie si mostrano in tutta la fantastica varietà di forme fra le quali, timida e rinsecchita ma sempre tenace, spunta l’erba odorosa, saporito pascolo di pecore e capre. In questo ambiente l’uomo ha vissuto come ha potuto coniugando in modo eccelso il verbo “arrangiarsi” e, come accade nelle zone più aspre della terra, non ha potuto aspirare ad altro che a sopravvivere. I segni più evidenti della frequentazione umana sono costituiti dai molti chilometri di muri a secco che coprono con fitta rete tutto il territorio. Sono recinzioni di proprietà e dei radi appezzamenti seminativi, ricoveri all’aperto delle greggi (…) con i loro mungitoi (…) e i grandi camini per la produzione del formaggio (…). Poi ci sono le casupole di sosta e i ricoveri provvisori, tutte di pietre non lavorate, con la loro brava cupola erbosa.. Anche le case di abitazione (…) sono costruite con gli stessi materiali, ma sono intonacate e coperte dalle chianche (…), sottili sfoglie di pietra che si trovano in particolari cave. La raccolta e conservazione dell’acqua era una delle principali preoccupazioni dei nostri antenati.
Le innumerevoli cisterne che si aprono a fil di suolo e le monumentali piscine scavate e foderate di pietra in fondo alle doline rappresentano nella loro povertà interessanti esempi di ingegneria idraulica.
Nell’agricoltura le pietre servivano per costruire muretti di contenimento che consentivano la coltivazione del magro terreno di pendii scoscesi. Le terrazze ricavate erano larghe pochi metri.
Per rendere coltivabili i ripidi e scoscesi pendii dei valloni i contadini costruivano una serie di muretti di contenimento (…) che davano stabilità al terreno e permettevano l’aratura, l’impianto di mandorleti e, a volte, anche la coltivazione di ortaggi, patate e perfino frumento. Ancora oggi gli impervii pendii, ormai abbandonati, sono una testimonianza viva ed efficace di millenni di fatica.
Poi ci sono i resti di strutture “industriali” utilizzate fin dentro la modernità: impianti per la produzione della calce (caviciunare), dei mattoni e delle tegole (pinciara), fosse per la conservazione della neve (nevera) scavate in fondo alle doline. Qua e là s’incontrano grotte attrezzate a ricovero. Non mancano opere che non hanno uno scopo funzionale, ma che rappresentano quel momento creativo gratuito e appagante di cui tutti noi abbiamo bisogno per sentirci, appunto, uomini.
Un esempio bellissimo è l’arco di S. Michele costruito sullo stretto sentiero tracciato lungo la Valle di Vituro, oggi quasi dimenticato, che fino alla metà del sec. XIX i sammarchesi percorrevano per recarsi a Foggia.
L’ambiente religioso: santuari e pellegrini
Per quanto possa sembrare paradossale, il suo stesso isolamento e aridità hanno fatto del Gargano un punto irrinunciabile nella complessa geografia religiosa d’Italia. Già dalla più remota antichità pagana il promontorio era meta di pellegrinaggi diretti ai luoghi, non ancora identificati, dove si adoravano Calcante e Podalirio. Anche la dea Venere, col titolo di sosandra (salvatrice degli uomini), era adorata nella sua grotta di Vieste da marinai scampati alla furia dell’Adriatico. Alla fine del sec. V d.C. le apparizioni dell’Arcangelo Michele in una grotta sita in un luogo tra i più impervi della montagna hanno proiettato lo Sperone d’Italia tra i luoghi spirituali più importanti e frequentati dell’intera Europa (…).
La via che dalle pianure settentrionali del Tavoliere s’insinua nel Gargano e passando per la Valle di Stignano si ferma a Monte Sant’Angelo si popolò dei pellegrini che arrivavano dalla dorsale adriatica. La via era tracciata sul fondo della lunga, stretta e profonda valle che separa il Gargano meridionale dal resto del promontorio. Così il Gargano meridionale, nonostante l’asprezza del suolo e la scarsità di acqua, si vivificò di una presenza umana varia per origine e cultura. L’intenso passaggio di pellegrini diretti alla Grotta dell’Arcangelo provocò la nascita di luoghi di riposo, gli ospizi, e di assistenza spirituale, i monasteri. Poi venne la volta dei borghi che in seguito divennero città: San Marco in Lamis, San Giovanni Rotondo, Monte Sant’Angelo. Molta parte di questo territorio ricadeva nel grande feudo dell’Abbazia benedettina di S. Giovanni in Lamis, attualmente Convento-Santuario di S. Matteo Apostolo (…). Lungo i secoli il Gargano meridionale, pieno di grotte e di anfratti nascosti venne invaso da numerosi gruppi di pellegrini speciali che trovavano su questa montagna alta e solitaria sulla pianura e sul mare le condizioni ideali per la vita di preghiera, nella solitudine e nella contemplazione (…). Il Gargano meridionale divenne una Montagna Sacra. Questa sacralità nel sec. XX è stata conosciuta in tutto il mondo per la presenza di un santo dei nostri giorni, P. Pio da Pietrelcina (…).