Il convento
ll convento è nato nel sec. VIII come monastero benedettino col nome di S. Giovanni in Lamis. Nel 1311 passò ai Cistercensi. Nel 1578 fu ceduta da Papa Gregorio XIII ai Frati Minori Osservanti della provincia di S. Angelo in Puglia.
La devozione all’apostolo ed evangelista S. Matteo, di cui si venera una statua lignea policroma di stile bizantino e di cui dal sec. XVI si conserva una reliquia, si diffuse in tutta la Capitanata, nel Molise, nell’Abruzzo e in Terra di Bari soprattutto tra gli agricoltori e i pastori. La devozione provocò, tra l’altro, il mutamento, de facto, del nome “S. Giovanni in Lamis”, rimasto come nome ufficiale, a “Convento di S. Matteo” dei Frati Minori.
Nel 1838 il Ministro provinciale fra Antonio da Rignano lo fece dichiarare Studio Generale. Dopo la soppressione, intorno al 1883, i frati ritornarono. Negli ultimi cinquant’anni sono stati effettuati radicali interventi di restauro e di adattamento, rendendo i locali più accoglienti e funzionali. È un Santuario molto frequentato. Il convento custodisce anche una delle più importanti Biblioteche della zona.
La fraternità
Fr. Stefano De Luca (Guardiano, Archivista provinciale, Coordinatore Biblioteche francescane provinciali, Direttore Biblioteca francescana provinciale P. A. Fania, Censore dei libri); Fr. Giovanni Novielli (Vicario, Economo, Vice Direttore Biblioteca francescana provinciale P. A. Fania Componente Commissione Inventariazione Beni); Fr. Urbano Giambitto (Confessore); Fr. Pietro Carfagna (Addetto al Santuario, Confessore); Fr. Bernardino Monti (Confessore).
Chiesa di San Matteo
La chiesa, situata a nord-ovest e al secondo piano dell’edificio conventuale, sin dall’origine a navata unica scandita da paraste, presenta tracce di un primitivo ingresso sul lato orientale. Ha subito una serie di rifacimenti barocchi e settecenteschi nonché, fino agli inizi del secolo scorso, interventi di restauro spesso arbitrari, che impediscono oggi una chiara ‘lettura’ della sua evoluzione architettonica.
Sulle pareti della chiesa più vicine alla zona presbiteriale si sono conservate tracce di affreschi più antichi, relativi ad una prima fase decorativa, databile approssimativamente alla fine del XII secolo. Consta di quattro grandi scene narrative che assumono una notevole importanza, perché anticipano le scene di narrazione storica di età sveva e angioina. Pur non essendo agevole la lettura dei frammentari soggetti figurativi, è ipotizzabile un’immagine di San Giovanni Evangelista (fuso e confuso, anche a livello iconografica, con il Battista eponimo dell’abbazia), la rappresentazione di una fonte che scorre da un’arcata monumentale e una scena con pellegrini. La tavolozza cromatica è ricca, intense le tinte e marcate le linee dei volti. L’ipotesi più probabile è quella di una traduzione in chiave locale di stilemi provenienti dal mondo greco-bizantino. Di una seconda fase decorativa, che ha interessato forse tutte le restanti pareti e alcuni pilastri, databile entro la seconda metà del sec. XIII, affiorano solo, sulla parete destra, tracce di un santo (San Giovanni Battista?) e di un personaggio nimbato (San Benedetto?), figure rappresentate come ‘icone’, ma con la stessa ricchezza e intensità cromatica del primo ciclo, a conferma della presenza nella Capitanata di una vivace cultura figurativa, la cui storia resta però in gran parte oscura.
Nella chiesa è presente, sull’altare maggiore, una statua in legno scolpito e dipinto, sulla quale ancora oggi si discute: in origine sembra fosse un Cristo benedicente, riadattata e “travestita” come Matteo alla fine del sec. XVI. Non tutti gli studiosi, tuttavia, condividono la tesi di una “trasformazione” della statua.
La reliquia di San Matteo
Per la sua collocazione geografica, le vicende storiche, le testimonianze artistiche e archeologiche, gli aspetti demo-etno-antropologici, il santuario di San Matteo rappresenta un melting pot unico e originale. E le prassi cultuali e devozionali nonché le tradizioni e le manifestazioni folkloriche, risentono di queste molteplici variabili.
Gli avvicendamenti storici che il complesso subì a partire dall’XI secolo, periodo al quale risale il primo documento scritto sul santuario, com’è naturale, determinarono non soltanto trasformazioni gestionali, architettoniche, liturgiche, ma anche reinterpretazioni del luogo e dei suoi orientamenti cultuali.
L’abbazia di San Giovanni de Lama, infatti, convertita alla venerazione per l’apostolo Matteo, assorbì motivi e forme devozionali di quel culto per il Primo Evangelista già diffuso in terra di Capitanata a motivo di una reliquia attribuitagli, un dente molare, proveniente da area campana verso la fine del Cinquecento e, secondo la tradizione, dotata di una potente virtus taumaturgica. È verosimile che la reliquia sia giunta dalla cattedrale di Salerno, dove era custodita a seguito della traslazione delle spoglie del Santo.
La reliquia è conservata in un reliquiario argenteo di XVII secolo che, in occasione dei lavori di risistemazione delle aree di culto per il Giubileo del 2000 è stato oggetto di un intervento di ridefinizione dell’apparato espositivo. Collocata nella parte posteriore dell’altare maggiore della chiesa, è stata incastonata in un complesso scultoreo realizzato dall’artista locale Nicola Petruccelli. Le scene sui pannelli rappresentano il classico repertorio iconografico di san Matteo: la chiamata dell’Apostolo da parte di Gesù, la cena in casa di Matteo e l’Evangelista scrivente. In occasione dei pellegrinaggi ne è permesso il bacio.
Il complesso abbaziale, a partire dal XVI secolo, tramutò dunque la sua destinazione: non più esclusivamente luogo di transito, assistenza e accoglienza per i pellegrini diretti al santuario di micaelico di Monte Sant’Angelo, ma centro propulsore del culto di san Matteo e di intensa devozione popolare. Alla fine del XVI secolo, sullo stesso altare fu collocata una statua in legno d’ulivo scolpito e dipinto che rappresenta l’evangelista Matteo seduto in cattedra, con un libro aperto nella mano destra e una penna nella sinistra (tipico attributo dell’Evangelista). Sulla statua ancora si discute sia in merito alla datazione sia sull’identità della scultura, a partire dall’ipotesi (che, peraltro, non tutti gli studiosi accolgono) che fosse in origine un Cristo benedicente, riadattato e “travestito” come Matteo alla fine del sec. XVI.
Devozione a San Mateo
Il complesso del Santuario riveste ancora oggi quel ruolo di centro di accoglienza che ricorda l’antica funzione di xenodochium.
L’incremento progressivo del pellegrinaggio (favorito, negli ultimi anni, anche dalla vicinanza con il santuario di San Pio da Pietrelcina a San Giovanni Rotondo) impegna quotidianamente la comunità dei frati che curano l’ospitalità di singoli e gruppi. In aggiunta ai momenti di preghiera, di spiegazione delle vicende storiche che hanno interessato il santuario e di illustrazione del patrimonio artistico, l’accoglienza ai pellegrini si arricchisce di riti particolari, legati al culto di San Matteo, intriso di elementi derivanti dalla cultura contadina della Capitanata e del Gargano; San Matteo è protettore delle popolazioni rurali di questo territorio.
Uno di questi riti consiste nella benedizione dell’olio e nella unzione della fronte, oggi concessa a tutti i pellegrini ma riservata in origine a persone che avevano contratto la rabbia in seguito al morso di un cane ammalato o a coloro che avevano subito danni o offese da parte di altri animali. Era usanza, altresì, condurre presso il santuario gli animali domestici, il bestiame, gli attrezzi agricoli e ungerli con l’olio di san Matteo, per preservare da malattie ed epidemie gli animali e propiziare le attività agricole; in tempi più recenti, un frate questuante percorreva strade di campagna recando con sé l’olio santo.
Oggi i devoti sono soliti portare a casa una boccettina di olio, benedetto attraverso una formula particolare. L’affidamento della protezione del bestiame al Santo si desume anche dall’intitolazione a Matteo della tradizionale fiera del bestiame che si teneva il 21 settembre (ricorrenza della festa) e alla presenza, presso numerose stalle della zona, dell’immagine di Matteo. Inoltre, è noto che, fino agli anni ’60 del Novecento i contadini offrivano al Santo le primizie del raccolto, il primo agnello del gregge, il primo maialetto, il primo puledro.
Il patrocinio di san Matteo si estende in particolare ai cavalli, tanto che per lungo tempo fu consuetudine dare loro il nome di Matteo. Testimonianza di questo speciale patrocinio si ritrova in un medaglione marmoreo che raffigura il volto dell’Evangelista mentre ammira una testa di cavallo, realizzato attorno al 1927 da uno scultore locale e destinato a ornare il fastigio del tempietto dell’altare maggiore. Una forma “attualizzata” di devozione, sviluppatasi in tempi recenti, consiste nell’affidare alla protezione del Santo la propria auto, facendola benedire nel suo nome. È un rito praticato anche in riferimento ad altri mezzi di locomozione.
Il patrocinio di Matteo si estende inoltre, in virtù della sua occupazione di gabelliere, alla Guardia di Finanza, ai banchieri, ai ragionieri, ai dottori commercialisti.