P. Antonio Fania da Rignano titolare della biblioteca
“P. Antonio da Rignano dotto che fece studiare e scrivere…”.
Le parole di P. Agostino Gemelli esprimono la ragione per cui la biblioteca è intitolata a P. Antonio Fania da Rignano Garganico (foto).
La sua vita di frate si snodò dal 1804 al 1880, lungo quasi l’intero sec. XIX, cogliendo tutti i momenti importanti della vita dell’Italia, della Chiesa e dell’Ordine Serafico: l’avvento di Napoleone e la Restaurazione, le due devastanti soppressioni degli Ordini Religiosi, i fermenti liberali, l’Unità d’Italia, la breccia di Porta Pia, Pio IX e Cavour.
Fu professore (Lettore) di filosofia e di teologia, fu Ministro Provinciale, Segretario Generale e Procuratore dell’Ordine. In vari Capitoli Generali si tentò di eleggerlo Ministro Generale.
Ma sempre le sue amicizie e le sue frequentazioni degli intellettuali del tempo, molti dei quali di dichiarata fede liberale, furono ritenute ostacoli insormontabili. Nell’espletamento dei suoi incarichi ai vertici dell’Ordine Francescano fu sua costante premura promuovere gli studi soprattutto attraverso una radicale riorganizzazione dei progetti e degli istituti formativi.Ebbe rapporti strettissimi con molti intellettuali, sia frati che laici di tutte le tendenze ideologiche. Fu Consultore di diverse Congregazioni Romane e membro di Accademie scientifiche e letterarie. Nel 1851 Pio IX lo nominò membro della Consulta Teologica per la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione.
Pubblicò opere di predicazione e di questioni linguistiche, biografie e scritti di varia umanità.La sua partecipazione a questa Consulta venne immortalata nelle stanze Vaticane da un dipinto del Podesti, e da un bassorilievo sulla porta centrale della Cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore(foto).
Nel 1867 il Papa Pio IX lo elesse Vescovo di Marsico Nuovo e Potenza. Partecipò attivamente al Concilio Vaticano I.
Chiuse la sua operosa vita il 23 gennaio del 1880.
Padre Diomede Scaramuzzi
Conobbe e apprezzò l’ideale francescano per opera di P. Giocondo De Nittis, suo parente, che era stato Provinciale della Riformata Provincia di S. Angelo in Puglia e, dal 1884, vescovo di Castellaneta. In casa c’erano altri sacerdoti, fra cui don Michele De Nittis a cui P. Scaramuzzi fu sempre legato. P. Diomede Scaramuzzi nacque il 15 novembre 1880 da Antonio e Maria Nicola Cipriani. Al fonte battesimale fu chiamato Giocondo.
A 15 anni il giovane Giocondo iniziò l’anno di noviziato presso i Frati Minori Riformati nel convento “Maria Misericordiosa” di Casalbore (Avellino) con il nome religioso di Fra Diomede.
Nel 1899 con decreto del padre Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, P. Luigi Lauer, tutti i frati del Molise, della Capitanata e della Terra di Bari appartenenti alle antiche province monastiche francescane degli Osservanti, dei Riformati e degli Alcantarini furono riuniti in una sola grande Provincia Monastica che assunse il nome di Provincia Apuliae Sancti Michaelis Archangeli. Anche il nostro Fra Diomede, che da poco aveva emesso la professione temporanea, venne integrato nella nuova Provincia francescana.
Nel 1901 fu inviato a studiare teologia nel Collegio Internazionale “S. Antonio” a Roma.
Nel 1903, non ancora sacerdote, pubblicò il suo primo articolo su L’eco del Serafino d’Assisi, rivista francescana di Genova. Il suo articolo fu messo in bella mostra in prima pagina.
Il 25 luglio del 1903 fu ordinato sacerdote.
Nel 1904 fu di nuovo inviato a Roma per conseguire la laurea in teologia.
Completati gli studi, nel 1905 fu trasferito nel convento garganico di San Matteo a San Marco in Lamis per insegnare teologia ai giovani studenti francescani.
Il P. Provinciale dell’epoca, P. Filippo Petracca, aveva capito che l’opera di ricostruzione passava, certamente, attraverso l’osservanza religiosa e un profondo spirito di pietà, ma anche attraverso un vivace e disponibile impegno culturale. Il convento di San Matteo era stato da poco tempo restituito ai frati i quali erano impegnati nell’opera di ricostruzione materiale e morale dopo il difficile periodo della soppressione degli Ordini Religiosi.
Nel silente storico convento di San Matteo, P. Diomede, per diversi anni, incoraggiato dal suo superiore e amico P. Filippo, approfondì la sua formazione culturale con l’insegnamento, la ricerca teologica, la predicazione e l’attività giornalistica.
Anche se di giovane età, era molto richiesto sia sul pulpito che sulla cattedra.
Si manifestò subito come oratore facondo e dotto, ma anche aperto alle problematiche del tempo e fedele ai propri ideali sacerdotali e francescani.
Il suo primo lavoro importante è L’evoluzione del dogma dell’Immacolata nell’Ordine Francescano, che è il testo di una conferenza che, non ancora venticinquenne, aveva tenuto nel 1904 a Bitonto.
Del 1908 è l’opuscolo Il Santuario di San Matteo presso San Marco in Lamis scritto ad uso dei visitatori e dei pellegrini sulla scorta di una superstite avara documentazione.
Si rivelò ancora valido ricercatore e felice espositore con il volumetto Problemi cristologici che pubblicò nel 1909 dedicandolo a San Francesco d’Assisi per ricordare il VII centenario della fondazione dell‘Ordine dei Frati Minori.
Fino al 1927, pur non trascurando l’insegnamento e l’attività giornalistica, il suo impegno principale fu la predicazione.
La fama della sua parola chiara e dotta superò ben presto i confini della Capitanata, della Puglia e del Molise e arrivò fino all’Umbria, alla Sicilia, alla Sardegna, a Napoli, Milano.
Dappertutto si coglieva l’eco favorevole dei vescovi e dei fedeli, dei confratelli e della stampa.
Ai temi squisitamente teologici si aggiungevano quelli che la vita in continuo divenire sottoponeva all’attenzione del giovane teologo: la stampa, l’amor patrio, il femminismo, la grande guerra, il lavoro, la moda ecc.
Durante la Quaresima del 1926, predicata nella chiesa di Santa Caterina a Chiaia a Napoli, dinanzi a un pubblico folto e attento riunito nella sala “Verdi” di Palazzo Maddaloni parlò della Modernità di San Francesco.
Nella primavera dello stesso anno predicò il Mese di Maggio a Costantinopoli. I resoconti della stampa furono entusiastici.
Nel 1926 iniziò un nuovo capitolo.
A 46 anni di età, di cui 23 di sacerdozio, quando ognuno, raggiunta la piena maturità, vuol giustamente gustare i frutti di un lungo e duro apprendistato, P. Diomede esordì in campo nazionale nel difficile e a volte infido terreno della ricerca storico-filologica.
Nel 1927 i Superiori Generali lo chiamarono a Roma ad insegnare Teologia Fondamentale e Teologia Sacramentaria nel Pontificio Ateneo Antoniano che già lo aveva avuto studente dal 1900 al 1904.I suoi saggi Il Centenario della Scienza Nuova di Giambattista Vico e L’infiltrazione della dottrina di Giovanni Duns Scoto in Giambattista Vico, e più ancora il suo libro Il pensiero di Giovanni Duns Scoto nel Mezzogiorno d’Italia suscitarono consensi e rivelarono l’autore come personalità eminente nel campo della cultura italiana. Benedetto Croce gli scrisse una lettera di apprezzamento.
La tranquilla vita accademica, tuttavia, durò il solo anno scolastico 1927-1928.
Ormai si era fatto un nome come ricercatore informato, profondo, puntiglioso e critico.
Nell’estate del 1928 ci fu una parentesi festosa: il 25° anniversario dell’ordinazione sacerdotale. Il suo animo di eterno fanciullo esultò nella cerchia di amici e confratelli.
Nel 1929 fu mandato a Firenze, nel Collegio Internazionale di San Bonaventura a Quaracchi come membro di una speciale commissione incaricata di preparare l’edizione critica delle opere di Giovanni Duns Scoto.
Uscirono a ritmo serrato in questo periodo diversi saggi come La dottrina del Beato Giovanni duns Scoto nella predicazione di San Bernardino da Siena.
Una delle figure che più hanno affascinato P. Diomede è stato Sant’Antonio di Padova. A Sant’Antonio ha dedicato ben tre volumi, oltre a diversi saggi minori: La figura intellettuale di S. Antonio di Padova, La dottrina teologica di S. Antonio di Padova, e Alla scuola del Santo di Padova.
Nel 1923 pubblicò Duns Scoto – Summula, intorno a cui s’intrecciarono consensi e polemiche.
Il giornalismo è stata la vera vocazione di P. Diomede. E’ l’unica delle tante attività praticate, che P. Scaramuzzi abbia coltivato dagli albori della sua vita pubblica alla tarda vecchiaia.
Se il lavoro di ricerca lo entusiasmava, nel giornalismo trovava il mezzo con cui esplicare compiutamente il suo essere apostolo francescano.
Pubblicò oltre 500 articoli su periodici e quotidiani, piccoli e grandi, religiosi e letterari: Il Crocifisso Redentore di Roma, Vita Francescnadi Napoli, Vita e Pensierodi Milano,Madonna del Pozzo di Capurso, Studi Francescani di Firenze, Antonianumdi Roma. e poi: Il Frontespizio, Rivista del Clero, Bollettino di studi bernardiniani,Sophia; l’Avvenire e, soprattutto, l’Osservatore romano.
Nel 1935 i Superiori Generali, allo scopo di utilizzare la sua enorme competenza in campo giornalistico, crearono apposta per lui il “Segretariato dell’Ufficio stampa per l’Italia Francescana”. Compito dell’ufficio era quello di promuovere, collegare, recensire la stampa francescana d’Italia. Suo compito era anche sviluppare la conoscenza delle cose francescane in tutto il territorio nazionale e di fornire alla stampa le notizie provenienti dagli organi centrali dell’Ordine e dalle varie Province italiane. In effetti, l’ufficio diretto da P. Scaramuzzi fu un punto di riferimento essenziale non solo per i francescani d’Italia, ma anche per quelli di molti paese europei.
Fino al 1963 P. Diomede si dedicò interamente a recensire e segnalare opere francescane; organizzare convegni, mostre di libri, corsi di studio, esercizi spirituali dedicati ai giornalisti, agli intellettuali, alle maestranze delle grandi tipografie romane.
E intanto i suoi articoli uscivano uno dopo l’altro toccando tutti i temi della teologia, della storia e della cronaca con una prosa piana, immediata, sintetica, in un parlare “chiarozzo”, secondo lo stile del suo amato San Bernardino da Siena.
Il suo era vero apostolato che aveva scelto il giornale come mezzo privilegiato, ma che tendeva anche ad evangelizzare lo stesso difficile, e a volte ambiguo mondo della carta stampata. “Se il P. Scaramuzzi non esistesse, bisognerebbe inventarlo” scriveva il prof. Lamberto De Camillis redattore de Il Quotidiano nel 1946.
Nell’aria balsamica del Gargano ritemprava le sue energie. Alla fine della sua vita P. Diomede tornava spesso nel suo amato convento di San Matteo.
Il luogo che lo aveva visto sacerdote novello, entusiasta ed aperto alla vita lo affascinava sempre con l’aria dolce dei suoi boschi, odorosa di timo e un po’ aspra, con l’affetto degli amici da cui era sempre circondato e a cui dispensava, con un pizzico di vanità, il suo sorriso fanciullesco, la sua saggezza e i suoi versi estemporanei.
Nel silenzio della natura ritrovava il piacere della conversazione semplice fra le persone dalle quali era stato costretto a vivere lontano ma che non aveva mai veramente abbandonate: gli amici di San Giovanni Rotondo, i parenti, i confratelli Cappuccini, P. Pio da Pietrelcina, i frati di San Matteo, i freschi e vivaci studenti di filosofia che lo chiamavano “nonnino”.
La sua fervida vita si concluse a Roma il 20 febbraio 1966
La sua biblioteca, insieme ai cinque grossi volumi di articoli e ai suoi manoscritti, è ora patrimonio prezioso della Biblioteca di San Matteo.
P. Mario Villani o.f.m.
Padre Michelangelo Manicone
Appunti per una biografia di Michelangelo Manicone
Nato a Vico Garganico il 5 marzo 1745 sotto un’abbondante nevicata: io nacqui ne’ principi di marzo del 1745. Or l’onesto e veridico mio padre sovente narravami, che per portarmi in chiesa a battezzare fu d’uopo formarsi la strada entro essa neve.
Originario di famiglia contadina, Manicone poco più che sedicenne prendeva l’abito francescano nel convento di Santa Maria di Stignano presso San Marco in Lamis, nel cuore del Gargano. Con linguaggio di oggi, diremmo che fu uomo di formazione culturale molto vasta, di portata europea, tant’è che il suo bagaglio scientifico si presenta, ancora oggi, culturalmente molto avanzato.
Guardiano del convento di Gesù e Maria a Foggia, fu Definitore Provinciale dal 1776 al 1764 e Ministro Provinciale negli anni 1790-1794. Come egli stesso riferisce, intercalava ai vari doveri le sue peregrinazioni per li spaziosi campi appuli, per le scoscese rupi garganiche; sarà attraverso queste peregrinazioni che Manicone costituirà il quadro delle sue profonde conoscenze.
Tuttavia, non fu solo un ‘naturalista’. Anzi, a partire dalla pubblicazione di opere edite e inedite relative al ‘Buon senso’, appare sempre più un teologo riformatore. Il volume a cui facciamo riferimento è quello pubblicato nel 2010,Il trionfo del buon senso e altri scritti. Le radici del pensiero teologico di un riformatore.
Esso raccoglie quattro diversi scritti: tre opere di p. Manicone – la Orazione di Ringraziamento, Il Trionfo del Buon Senso e i Teoremi antropologici e antropologici-theologici – e l’anonima Lettera del Buon Senso a lui indirizzata da un non identificato oppositore. Quattro opere, dunque, che oggi consentono di disegnare il profilo di un Manicone ancora inedito e che va ad integrare la fisionomia, certamente più nota, del padre naturalista e autore della celeberrima Fisica Appula.
Questo nuovo profilo si arricchisce ulteriormente con i due tomi de La Dottrina Pacifica edita in Napoli nel 1790, in cui l’autore cerca una sorta di conciliazione tra sacerdozio e monarchia e propone una sintesi delle virtù utili e produttive per la vita sociale del religioso e del cittadino.
Delle vicende del ’99 e della sua partecipazione ai rivolgimenti politici, poco sappiamo. Di certo, una Lettera autografa indirizzata al Sovrintendente di Capitanata del 16 marzo 1810 e conservata in fotocopia presso la Biblioteca Comunale di Vico del Gargano, offre una doppia testimonianza: in primo luogo, esprime la sincera stima di G. Capecelatro, arcivescovo di Taranto e Ministro dell’Interno del Regno di Napoli, nei riguardi del padre vichese; in secondo luogo, accenna al lavoro – i cosiddetti Travagli Statistici – che p. Manicone stava realizzando per il Burò napoletano di Statistica in qualità di membro corrispondente per la Capitanata.
Da questa Lettera riportiamo le sue commoventi ed ultime parole: Io sono un povero frate e non ho danaro né meno per comprarmi un caffè. Tutto perdei nel terribile 99. Dunque priego V. E. di farmi dare qualche cosa.
Mimmo Scaramuzzi
Tommaso Nardella
Sembra opportuno fornire qualche notizia sui suoi molteplici interessi e sulle sue molteplici attività di studioso. E’ quasi automatico, anche per la passione che lo infervorava quando ne parlava, associare Tommaso Nardella al brigantaggio postunitario ed ai suoi protagonisti sammarchesi: Recchiemuzze, Lu Zambre, Nicandrone ed altri. Egli, però, ha prodotto studi fondamentali, per restare nell’ambito di San Marco, su Stignano, insieme a Pasquale Soccio, e sulla badia nullius di San Giovanni in Lamis. E, a proposito di San Giovanni in Lamis, forse pochi sanno che il principale documento che riguarda l’abbazia è stato reperito da lui (la copia in suo possesso, finora, è l’unica conosciuta): si tratta di una settecentesca allegazione forense, che rivendica il regio patronato, di Natale Maria Cimaglia, personaggio poliedrico, nativo di Vieste, cui ha dedicato una monografia, possedendone le principali opere. Anche altri documenti fondamentali per la storia della nostra città sono parte del suo patrimonio librario ed archivistico, da lui sempre messo a disposizione per la conoscenza del nostro passato: infatti, ha pubblicato, tra l’altro, corredandoli di preziose e ricche annotazioni ed introduzioni, il diario di Marco Centola, quello di Giuseppe Tardio, nonché documenti riguardanti chiese e confraternite, mentre ha curato la riedizione della storia di San Marco di Leonardo Giuliani. Inoltre, tutto il materiale da lui posseduto (allegazioni, necrologi, libri. ecc.) riguardante il Gargano è confluito nei Repertori Bibliografici per la storia del Gargano, unitamente a quello della Biblioteca del Convento di San Matteo, di cui era attivo collaboratore (si tratta di oltre 1500 titoli).A lui si devono le prime ricerche, ad esempio, su Francesca De Carolis o sulla Croce della scuola di Nicola di Guardiagrele che si trova nella Collegiata, così come a lui si deve la pubblicazione di numeroso materiale fotografico.
I suoi interessi di storico e ricercatore, però, non si limitavano a San Marco. Tommaso Nardella ha prodotto studi fondamentali sulla storia economica della Capitanata e soprattutto, ha raccolto materiale rarissimo sulle vicende demaniali. Anzi, posso testimoniare che il demanio, con le usurpazioni che lo hanno riguardato e con le tragedie umane di braccialie cafoni ad esso connesse, era la vera passione di Masino, anche perché contribuiva alla comprensione del brigantaggio.
Egli, infatti, riusciva sempre a cogliere, dietro le carte vecchie, sottratte a polvere e topi nelle soffitte che ripuliva con grande gioia di schizzinosi proprietari, gli uomini in carne, ossa e sangue (da convinto liberale, consentitemi la parentesi, comprendeva bene il senso delle lotte di persone come Francesco Paolo Borazio, suo intimo amico socialista, che gli riferiva, nell’immediato dopoguerra, di lavoratori in corteo in Corso Matteotti con l’espressione “nerecheia la cuzzama”, per significare l’imponenza di quelle manifestazioni di piazza).
Ma, Tommaso Nardella è stato anche organizzatore di eventi culturali di grande importanza. A lui si devono, infatti, la prima mostra bibliografica sul Gargano nel 1967, ed importanti convegni di studi, di cui ha curato la pubblicazione degli atti, su Antonio Salandra, lo statista nativo di Troia protagonista dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, e su Luigi Zuppetta. Allo stesso modo, a lui si deve la mostra ed il catalogo degli scritti di Angelo Ciavarella, nostro concittadino, direttore per lungo tempo della Biblioteca Palatina di Parma e fondatore del Museo Bodoni sull’arte tipografica. Inoltre, è stato determinate nella preparazione e nello svolgimento di convegni su San Matteo e la sua storia, sul “fuoco sacro”, sull’archeologia del Gargano, cui hanno partecipato antropologi del calibro di Alfonso Maria Di Nola, di Lombardi Satriani e storici della levatura di Alfonso Scirocco e Tommaso Pedio, di cui era amico e corrispondente.
Insomma, Tommaso Nardella è ancora tutto da scoprire e la sua opera è ancora tutta da valutare e apprezzare.
Giuseppe Soccio
Venerabile Mons. Agostino Castrillo
Padre Agostino Castrillo nacque a Pietravairano (Cs) il 18 febbraio 1904. All’età di 15 anni vestì l’abito francescano e a 21 si consacrò definitivamente al Signore con la professione religiosa. Compiuti gli studi filosofici e teologici, l’11 giugno 1927 fu ordinato sacerdote. Dopo aver insegnato per alcuni anni, nell’agosto del 1933 fu chiamato a Foggia in qualità di Segretario della Provincia, incarico che conservò per un sessennio.
Nel 1936 gli fu affidata la parrocchia di Gesù e Maria in Foggia, nella quale svolse un intenso apostolato fino al 1946. Nel 1940 fu eletto Ministro Provinciale e nel 1943 riconfermato nello stesso ufficio per un altro triennio.
Durante il suo provincialato nella Provincia si diede l’avvio a quel rifiorire di iniziative che sarà una felice caratteristica degli anni successivi. La Provincia divenne un cantiere di attività d’ogni specie. Si ebbero nuove fondazioni e nuove attività apostoliche.
Nel 1946 fu chiamato a Roma, dove gli fu affidato l’incarico di Padre Spirituale degli Studenti del Pontificio Ateneo Antoniano. Dal gennaio del 1948 al 1950 fu Commissario Provinciale della Provincia Salernitano-Lucana e poi Ministro Provinciale fino al 1953. Rieletto Ministro Provinciale della medesima Provincia, il 17 settembre 1953, appena due mesi dopo la rielezione, gli perveniva la nomina a Vescovo della diocesi di S. Marco Argentano e Bisignano in provincia di Cosenza.
Poté esercitare l’ufficio di Pastore soltanto per poco tempo, perché un male inguaribile lo tenne inchiodato a letto per 13 mesi. Morì santamente il 16 ottobre 1955 dopo una vita ricca di opere, totalmente spesa al servizio di Dio e dei fratelli.
Religioso pio e devoto, passava ore intere nella preghiera e nella meditazione. Il fervore francescano lo accompagnò in tutta la vita e non valsero a diminuirlo le occupazioni inerenti i suoi alti e impegnativi uffici. Superiore prudente e caritatevole, era sempre a disposizione dei suoi confratelli, che edificava col suo esempio e incoraggiava con la sua parola semplice e incisiva. Parroco zelante e laborioso, si adoperò in tutti i modi, specialmente durante gli orrori della guerra, per aiutare e consolare i suoi fedeli, specialmente quelli più poveri e più bisognosi.
Vescovo saggio e illuminato, in breve tempo conquistò il cuore dei sacerdoti e del popolo delle due Diocesi affidate alle sue cure. E quando il male lo costrinse all’immobilità, il suo letto divenne una cattedra e un altare.
Il processo diocesano di canonizzazione, avviato il 5 maggio 1985, è stato concluso il 21 febbraio 1999. Preparata la Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis, si è celebrato il Congresso dei Consultori Teologi il 27 ottobre 2015. I Padri Cardinali e Vescovi, nella Sessione Ordinaria del 6 giugno 2017, presieduta dal Card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, hanno riconosciuto che il Servo di Dio ha esercitato in grado eroico le virtù teologali, cardinali ed annesse. Il Santo Padre, il 16 giugno 2017 ha firmato il decreto di venerabilità, ordinando di renderlo pubblico e di trascriverlo negli Atti della Congregazione delle Cause dei Santi.
Doroteo Forte
Sembrava una quercia. Nonostante gli anni, aveva conservato la sua posizione eretta, lo sguardo ben fìsso negli occhi dell’interlocutore; il passo leggermente strascicato su piedi larghi e ben muniti gli dava un incedere ondeggiante ma sicuro .
Il viso ornato di perpetua smorfia tradiva i suoi sentimenti verso un mondo che non lo convinceva completamente, ma che, nonostante gli anni, lo divertiva an- cora . Si diceva un uomo del passato, e credeva veramente di esserlo. Ma guardava il futuro e faceva progetti come se dovesse vivere in eterno. Poi se n’è andato in pochi mesi di malattia.
Qualche settimana prima avevo trascorso con lui qualche ora. La gioia di rive- dermi gli saliva da tutti i pori. Fece sforzi immani per alzarsi dal letto, indossare l’abito religioso, completo di cingolo e cappuccio, e sedersi su una sedia di fronte a me. Anche dinanzi alla morte non rinunciò a gustare la vita, né all’orgoglio di essere francescano, ben cosciente che l’esistenza terrena, i ruoli ricoperti, il bene fatto, tutto, non era altro che grazia.
E i difetti? Certo, anche i difetti. Ma li viveva con l’ingenua cortesia del giullare che non sempre trova le parole acconce; oppure li esorcizzava con innocue sottolineature della bocca che s’accentuavano quando i discorsi diventavano solenni o definitivi, o invitanti, o paradossali, o grotteschi.
Di lui fu detto che era un tradizionalista. Ma certo non di quelli che affidano alla stolida ripetizione di atti le proprie insicurezze, le pigrizie e l’incapacità̀ di guardarsi intorno, di percepire i movimenti e le variazioni della vita, di leggere i segni dei tempi. La sua tradizione si chiamava abito francescano, inteso come cultura, capacità di leggere e interpretare il mondo, metodo originale di esaminarsi e di progettare. Era ben cosciente che otto secoli di storia francescana hanno lasciato segni di cui a nessuno è consentito di non tener conto.
Ebbe la ventura di entrare nell’Ordine Francescano in tempi duri ma privilegiati; era il 1926, meno di trent’anni dalla ricostruzione, avvenuta nel 1897, della Provincia Francescana di San Michele Arcangelo in Puglia dopo la parentesi delle soppressioni ottocentesche. Fu allevato al culto della storia dei padri, da cui attinse la consapevolezza del ruolo svolto dall’Ordine Francescano nei secoli, insieme all’orgoglio di appartenervi. I suoi maestri erano stati i protagonisti del- la ricostruzione. Col senso del dovere, gli trasmisero il suo caratteristico lucido entusiasmo creativo, insieme all’italica antica arte dell’arrangiarsi, di inventarsi la vita, coniugata con sorprendente razionale freddezza nell’analizzare, nel far sintesi e nel proiettarsi in un futuro neppure troppo vicino.
Quando parlava di fatti e personaggi ormai lontani nel tempo, si commuoveva, ed era evidente il rammarico di aver perso qualche sillaba degli insegnamenti dei maestri.
Il predicatore
Cominciò la sua “carriera” come predicatore. Anche se il suo atteggiamento deciso, la chiarezza di vedute e la pulizia del suo eloquio presto gli aprirono le possibilità di una funzione direttiva nell’ambito della vita della Provincia Mo- nastica, la sua vocazione restò a lungo quella di predicatore . Né al ricordo degli incarichi espletati dedicò mai molti spazi. Si sentiva soprattutto predicatore, che
,,, ogni tanto veniva prestato, complice la necessità, a questa o a quella incombenza. Fin verso gli anni ’60 questa fu la sua attività principale. Toccò tutti i pulpiti pugliesi e molisani, con frequenti puntate in altre regioni. A quel tempo la predicazione era una cosa seria; obbediva a regole precise e non si confondeva con la lezione di teologia, o con la catechesi o con la conversazione. Al predicatore non era consentita l’espressione discorsiva un po’ sciatta del parroco di campagna, né l’asettica pulizia concettuale dell’accademico. Al predicatore si chiedeva robustezza di impianto, espressione articolata e chiara, dottrina sicura, capacità di porgere attingendo alla vasta gamma degli strumenti retorici, occhio aperto alle necessità dell’ora, vasta cultura letteraria, storica e filosofica.
Era normale che le prediche fossero interamente scritte e imparate a memoria.
Ci si formava analizzando le prediche di oratori famosi. Insomma, essere predicatori era un lavoro specializzato da prendere molto sul serio. Diversi frati si erano incamminati su questa via costituendo una sorta di collegio a cui si ricorreva per quaresimali, panegirici, settenari, novenari , tridui ecc. Alcune di queste figure sono rimaste a lungo sulla scena insieme a p. Doroteo: p. Gabriele Moscarella, p. Leopoldo Nardone, p. Pacifico Stragapede, p. Edoardo Novielli, p. Pancrazio Modugno, p. Mariano De Cara.
I modelli erano i grandi predicatori francesi e italiani dell’Ottocento: i domenicani Enrico Domenico Lacordaire e Giacomo Luigi Monsabrè , p. Gioacchino Ventura, Mons. Geremia Bonomelli, il francescano p. Agostino da Montefeltro e soprattutto il barnabita p. Giovanni Semeria. Di costoro si apprezzavano, oltre alla cultura e all’affascinante eloquenza, l’apertura verso i problemi sociali e politici, nonché́ la capacità di dialogare col mondo della cultura.
P.Doroteo ha vissuto con forte convinzione il suo ruolo soprattutto nel drammatico periodo della Seconda guerra mondiale e in quello postbellico caratterizzato da forti passioni civili e grandi contrapposizioni ideologiche.
Lo storico
Nel primo decennio della seconda metà del sec. XX si consolidò la sua seconda vocazione, quella dello storico.
Fino alla morte si dedicò alle ricerche archivistiche frequentando con assiduità gli Archivi di Stato di Campobasso e di Foggia dov’era di casa. Insieme a queste opere maggiori uscirono alla chetichella una nutrita serie pubblicazioni riguardanti altri conventi della provincia, figure di frati, gustosi bozzetti di vita fratresca e il suo borgo d’origine, Rignano Garganico. Nel frattempo, collaborava con diverse riviste storiche, partecipava a convegni, teneva conferenze. Alcune sue
L’occasione che ve lo spinse definitivamente fu la morte del suo compaesano, era di Rignano Garganico, e amico carissimo p. Leonardo Iannacci. Letterato finissimo e insegnante entusiasta, p. Leonardo si era laureato all’Università di
NapoliconunaTesisuunillustreFratedell’Ottocento,ancheluidiRignano opere, come il Necrologio della Provincia furono pubblicate. Garganico, p. Antonio Fania. Il p. Fania era uno straordinario oggetto di ricerca: poco conosciuto dai manuali di letteratura, aveva avuto contatti stretti con i migliori rappresentanti della cultura cattolica della metà del sec. XIX, ma, da bravo francescano, era uno spirito libero che non disdegnava tessere rapporti , anche stretti, con i liberali. Tra questi uno gli era in particolarmente caro, il poeta Pietro Giordano. Queste amicizie non furono gradite a personaggi di spicco del mondo cattolico i quali, quando la grande maggioranza dei Ministri provinciali, riuniti in Capitolo Generale per eleggere il nuovo Ministro Generale, espresse il desiderio di eleggere a tale carica il p. Antonio Fania, si opposero con forza, malgrado il padre fosse amico personale del Papa Pio IX. Il padre aveva ricoperto importanti incarichi al vertice dell’Ordine dove aveva dato un decisivo contributo al rinnovamento degli studi. Inoltre, per la sua grande competenza teologica, era stato chiamato a far parte della speciale Commissione incaricata di redigere la Bolla pontificia Inejfabilis Deus con cui si dichiarava domma di fede l’Immacolata Concezione di Maria proclamato l’otto dicembre del 1854.
P.Leonardo Iannacci spesso aveva promesso di riprendere la sua Tesi di Laurea e darla alle stampe, ma la morte lo colse senza che avesse potuto dar corso ai suoi propositi.
P.Doroteo riprese le ricerche riuscendo a delineare la complessa personalità del Fania come frate e come superiore provinciale dei frati pugliesi, nonché a dipanare i suoi intricati rapporti con gli intellettuali del tempo, con la curia romana, echiarireilruolononsecondariodaluisvoltonellaricostruzionedeglistudi nell’Ordine e nella fase finale degli studi preparatori della dichiarazione del dog- ma dell’Immacolata. L’opera, completa e non priva di un certo intento apologetico, tipico di p. Doroteo, vide la luce nel 1961 col titolo P Antonio Maria Fania di Rignano Garganico, un animatore un precursore. Fu la prima di una lunga serie di ricerche storiche interrotta solo dalla morte. Seguirono a ritmo incalzante nel 1967laprima edizione di Testimonianze Francescane in Puglia Dauna; nel 1973 Itinerari Francescani in Terra di Bari; nel 1975 Movimento Francescano del Molise. Nel 1978, in occasione del IV centenario della presenza dei frati minori nel convento di San Matteo a San Marco in Lamis, diede alle stampe Il Santuariodi S. Matteoin Capitanata.
Le pubblicazioni di p. Doroteo hanno il non piccolo merito di aver rotto un silenzio di storia scritta che sembrava far parte degli stessi caratteri genetici dei frati minori della Capitanata e del Molise.
Nulla di strano in questo essendo le nostre regioni tanto avare di documenta- zione scritta quanto abbondantemente prodighe di monumenti eccelsi. Si ricorda l’amara considerazione del grande studioso e paleografo Armando Petrucci, originario di Sannicandro Garganico, secondo cui le nostre regioni sono avare di documenti quanto abbondanti di monumenti.
In verità alcune componenti del movimento Francescano della Capitanata e del Molise avevano una loro visibilità storica. La storia frati minori riformati era conosciuta dalla preziosa opera di fr. Arcangelo da Montesarchio, accresciuta e ripubblicata nel sec. XIX da fr. Antonio da S. Giovanni Rotondo. Anche i frati minori alcantarini avevano la loro brava storia scritta nel sec. XVIII da fr. Casi- miro della Maddalena, per non parlare dei cappuccini che avevano all’attivo una nutrita serie di pubblicazioni storiche. Ma i frati minori osservanti, no! Sembrava che nella loro lunga presenza in Capitanata, dalla fine del sec. XIV, non avessero prodotto nulla. L’unico che nei primi decenni del sec. XX, aveva pubblicato una storia era p. Ludovico Vincitorio di San Marco in Lamis. Le poco più di 100 paginette dal solenne titolo L’Alma Provincia di S. Michele Arcangelo in Puglia, che furono a lungo l’unico punto di riferimento di storia scritta, proponevano una sorta di rivisitazione, sulla scorta dei pochi documenti nuovi reperiti, della cinquecentesca opera di fr.Francesco Gonzaga De Origine Seraphica Reeligionias cui, peraltro, si rifacevano anche molti storici paludati, a cominciare dal visitatissimo frate irlandese Lucas Wadding. La pubblicazione di p. Ludovico Vincitorio, d’altra parte non andava oltre l’intenzione di presentare la provincia francescana di S. Michele Arcangelo, rinnovata dopo le devastazioni ottocentesche, in tutta la sua nobiltà di una delle sette province madri dell’ordine francescano, e, insieme, sostenere, attraverso una più puntuale consapevolezza del proprio passato, il duro lavoro dei frati impegnati nella ricostruzione della provincia. In quel tempo anche altri frati della medesima provincia scrivevano opuscoli sui vari conventi avventurosamente recuperati come i conventi baresi di S. Maria dei Martiri a Molfetta e della Madonna del Pozzo a Capurso, del Santuario di S. Matteo, conventino di Santa Maria degli Angeli a Sepino, Santa Maria della Vigna a Pietravairano ecc.
Le pubblicazioni storiche di p. Doroteo costituiscono ora un importante complesso a disposizione degli studiosi che certamente crescerà quando verranno aperte alla consultazione le innumerevoli cartelle di documenti, appunti, progetti che il padre ha raccolto in quarant’anni di ricerche . Spesso diceva con rammarico di non aver potuto scavare in tutti gli archivi che avrebbe voluto visitare. Era, quindi, ben conscio che la sua opera non voleva essere altro che una pista appena tracciata che altri avrebbe percorso in tutta la sua interezza.